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23 luglio 2012

Vittoria alla Corte Costituzionale ..

.. contro l'obbligo alla privatizzazione dell'acqua e il risultato dei referendum - cronologia di un percorso politico.

La vittoria di ieri alla Corte Costituzionale è una vittoria politica, non solo giuridica, frutta di un'iniziativa POLITICA di un gruppo di giuristi e sottoscritta da migliaia di italiani nell'agosto 2011.
La ricostruzione cronologica dei fatti, per evidenziare che stato il risultato di una iniziativa politica intrapresa con grandi difficoltà e non una semplice sentenza.

*agosto 2011- viene resa pubblica la lettera- memorandum dell'Europa all'italia. Viene immediamente predisposta una manovra economica , in forma di DECRETO LEGGE ( decreto di ferragosto) che taglia per decine di miliardi e attacca diritti fondamentali ( nell'art.4 ribalta il risultato referendario di 2 mesi prima, nell'art. 8- recependo il modello Pomigliano- che gli accordi aziendali possono non rispettare le leggi.
Il Decreto viene emanato dal Presidente Napolitano il 13 agosto 2011 (vai al link)
Era la seconda manovra il 20 giorni, all'emanazione della prima il presidente Napolitano dichiarò che era stato un "miracolo"

*14 agosto 2011 - fu lanciato un appello contro una manovra incostituzionale

*28 agosto 2011 - in base a quest'appello due giuristi, da lì a pochi mesi promotori di ALBA, Alberto Lucarelli e Ugo Mattei fecero una lettera aperta a Vendola per "ricevere mandato, naturalmente a titolo assolutamente gratuito, da soli o insieme ad altri legali di Sua fiducia, a rappresentare la Regione Puglia (ed incidentalmente la nuova egemonia dei beni comuni) di fronte alla Consulta in un ricorso diretto di incostituzionalità del Decreto 138\2011. (vai al link)

Questa proposta e questo appello provocarono vari scontri, Lucarelli e Mattei furono accusati da parte di alcuni referendari di eccesso di protagonismo per finalità politiche e ambizioni personali da una parte, dall'altra per l'attacco evidente al presidente Napolitano,come garante della costituzione, di avere emanato un testo palesemente in contrasto con la Costituzione.

*1 settembre 2011 - A questa richiesta Vendola, come presidente della Region Puglia, rispose positivamente il 1 settembre 2011 (vai al link)

E da qui si arriva al giudizio di ieri, che oltre al merito straordinario della materia, afferma, come oggi dichiara Stefano Rodotà, il rifiuto della "logica emergenziale in economia che pretende di travolgere tutto, Costituzione compresa". Questa sentenza mostra che in nome della crisi e del ritornello" L'Europa lo chiede" non si può fare tutto.

Possiamo dire che i fautori del pensiero unico in nome de " L'Europa lo chiede" hanno perso e che questo risultato "rappresenta un passaggio fondamentale intorno al quale le forze democratiche di questo Paese dovranno ritrovarsi per indicare strade alternative alle politiche liberiste di Monti per uscire dalla crisi" come detto con forza da Lucarelli e Mattei.

Sul valore di questa vittoria riportiamo l'articolo odierno di Lucarelli e Mattei su Il Manifesto


Depositando due lunghe e articolate sentenze, la 199 e la 200 del 2012, la Corte Costituzionale ha reso giustizia al movimento referendario e ha posto finalmente un limite al delirio di onnipotenza del legislatore neoliberista nella sua versione bipartisan di casa nostra. Dietro a tecnicismi talvolta eccessivi (che già avevano reso la discussione orale del 19 giugno scorso meno interessante di come avrebbe potuto essere), con i quali la Corte (soprattutto nella sentenza 200) ha probabilmente cercato di depotenziare in parte la bomba politica rappresentata da questa decisione, un dato è chiarissimo.

I referendum del giugno 2011 non riguardavano soltanto l’acqua ma costituivano un tassello chiave nella costruzione di un’altra visione del pubblico che coinvolge l’intero settore dei servizi pubblici e che è coerente con la nostra Costituzione economica ben più di quanto non lo sia la politica neoliberale delle dismissioni. Su questa diversa visione, antitetica rispetto al riformismo neoliberale, il popolo sovrano si era pronunciato e la volontà popolare doveva essere rispettata tanto dal governo di Berlusconi quanto dal suo successore «tecnico».

La sentenza, oltre che politicamente dirompente perché da oggi più nessuna amministrazione locale di qualsivoglia colore politico potrà trincerarsi dietro l’ obbligo di smantellare i servizi pubblici ma dovrà assumersi tutta la responsabilità politica delle proprie scelte, è tanto storica quanto essenziale in questo momento di frana della democrazia costituzionale. Storica perché mai prima la Corte aveva tracciato così chiaramente, in una ratio decidendi, l’esistenza di un vincolo referendario non superabile dal Parlamento. Vincolo che in un regime fisiologico di rappresentanza politica potrebbe pure non sussistere sul piano formale (come ha fin qui sostenuto, ieri smentita dalla Corte, gran parte della dottrina costituzionalistica italiana) ma che in questa situazione di non rappresentatività del parlamento e di sospensione della democrazia prodotta dal «governo tecnico» costituisce un baluardo prezioso per il nostro sistema delle garanzie.
Esattamente un anno fa, dopo aver fatto invano pervenire al Presidente Napolitano (che la Costituzione fa supremo garante del suo ordine) un plico contenente quasi 10.000 firme che lo invitavano a non firmare il Decreto di Ferragosto oggi dichiarato incostituzionale, avevamo scritto al presidente della Puglia, Vendola, proprio dalle pagine del manifesto, pregandolo di darci mandato di rappresentare la regione Puglia in un ricorso diretto dal significato politico importantissimo, ben superiore ai tecnicismi pur importanti del rapporto fra Stato e Regioni.

Lo avevamo fatto perché convinti che il Comitato Referendario, organo costituzionale caduco, non avesse legittimazione ad agire e ben consci dei rischi che la particolare prospettiva di un ricorso da filtrarsi tramite l’interesse della Regione avrebbe prodotto. Il presidente Vendola ci aveva ascoltati, e il senso politico di questa operazione è chiarissimo e documentato sulle pagine del nostro giornale.

In effetti, la Corte, che certo avrebbe potuto cavarsela con il tecnicismo (che invece ha adoprato per indorare al governo la pillola del suo operato, tramite qualche frecciatina alla «genericità» del nostro argomento) è invece andata al sodo dichiarando forte e chiaro che la democrazia diretta è una cosa seria e che tutti, proprio tutti, dovrebbero rispettare la volontà del popolo piuttosto che legittimare la depredazione del suo patrimonio comune a vantaggio di alcuni interessi privati.

La Corte Costituzionale, che già aveva dimostrato un certo coraggio nel respingere il castello di menzogne che volevano l’ inammissibilità del Referendum (sentenza 24 2011) ha saputo interpretare con queste sentenze la sua funzione di garante della Costituzione e dell’ interesse pubblico. Speriamo che altre alte istituzioni prendano esempio.

21 luglio 2012
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